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Scadenze riportate sui cibi: sono realmente affidabili?

Quando decidiamo di acquistare un alimento, la prima cosa che solitamente facciamo è quella di guardare la data di scadenza, in modo da poter stimare un tempo prestabilito per poter consumare quel determinato prodotto. Bisogna precisare due cose prima di proseguire con la nostra piccola “indagine”, poiché esistono due tipologie di scadenza. La prima vede questa dicitura: “Da consumarsi entro…”; la seconda vede un’altra dicitura: “Da consumarsi preferibilmente entro…”. Vi sono due differenze importanti in questi casi, ovvero nel primo il produttore non garantisce la commestibilità dell’alimento dopo la data scritta, mentre nel secondo garantisce il termine minimo di conservazione.

La scadenza di ogni alimento viene decisa dal produttore, poiché sono pochi i cibi con scadenza decisa dalla legge: si tratta di latte fresco pastorizzato, latte fresco pastorizzato di alta qualità, latte microfiltrato fresco pastorizzato, latte a lunga conservazione e uova. Per tutti gli altri prodotti alimentari che andiamo ad acquistare troviamo una data di scadenza stabilita dall’azienda produttrice, secondo tempi di lavorazione, conservazione e imballaggio.

Il produttore deve divenire anche un controllore, effettuando prove di laboratorio sui propri prodotti, misurando la crescita microbica e valutando dopo quanti giorni gli alimenti perdono le proprie qualità organolettiche e nutrizionali. Di conseguenza, la data di scadenza diventa una sorta di patto tra produttore e consumatore, il quale decide di fidarsi da quanto stabilito dal primo. Ogni azienda si basa su molti fattori per determinare la scadenza di un cibo, come ad esempio eventuali sbalzi di temperatura: in questo frangente i prodotti più a rischio sono quelli freschi, come salumi, piatti pronti, formaggi e verdure.

Bisogna tuttavia precisare e mettere in evidenza che esiste un metodo commerciale non proprio corretto riguardo la scadenza di prodotti alimentari, adottato da alcuni produttori. In questo caso la data di scadenza viene indicata al di là di quella reale, a discapito delle proprietà organolettiche e nutrienti dell’alimento “incriminato”. Vi sono diverse tipologie di “prolungamenti artificiali” per quanto riguarda la data di scadenza, dichiarati dal dipartimento di Scienze e Tecnologie alimentari e Microbiologiche dell’Università di Milano:

  • Il prosciutto cotto affettato, se confezionato all’interno di una vaschetta di plastica, dovrebbe scadere entro i 20 giorni dall’acquisto, ma la data di scadenza segnata supera i 60 giorni;
  • L’olio extravergine d’oliva prevede una data di scadenza di circa sei mesi, ma alcune aziende la prolungano fino a 18, con conseguente perdita di gusto e proprietà nutrizionali;
  • Il caffè vede una scadenza compresa tra i 16 e i 18 mesi; in lattine di metallo non oltre i 12 mesi;
  • Lo yogurt può durare fino a un mese, anche se il prolungamento di altri 10 o 20 giorni non provoca danni, se non la perdita dei microrganismi attivi in esso contenuti;
  • I pomodori pelati vedono scadenze di 2 anni sulle confezioni, ma in realtà la qualità sensoriale permane solo dai 6 ai 9 mesi

Detto questo, bisogna cercare di capire se esiste un metodo per poter determinare la corretta data di scadenza sulle confezioni: fortunatamente lo abbiamo scovato. Se la data sulla confezione viene scritta in giorno, mese e anno l’alimento durerà fino a tre mesi massimo; se viene indicata con giorno e mese può durare dai 3 mesi ai 18 mesi; se viene indicato solo l’anno bisogna tenere conto che questo tipo di alimento è a lunga conservazione, quindi per più di un anno e mezzo.

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