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La viticoltura ai tempi degli antichi Romani: le radici della nostra storia

La viticoltura italiana di oggi deve molto alle tecniche di produzione che venivano adottate dagli antichi Romani, i quali a loro volta prendevano spunto dalle conoscenze ereditate dalla cultura etrusca e da quella greca. La vite, comunque, molto probabilmente è una specie autoctona del nostro territorio, il che vuol dire che per cominciare a coltivarla non è stato necessario aspettare che qualche altro popolo la importasse. Le viti, ai tempi di Roma, in numerose situazioni venivano mantenute allo stato selvatico, e cioè incolte, anche se i Romani avevano appreso le tecniche di coltivazione dalle popolazioni con cui erano entrati in contatto: i Greci e gli Etruschi, appunto, ma anche i Cartaginesi.

Indice

Dagli Etruschi ai Romani

Non è un caso che la penisola italica intorno al V secolo avanti Cristo, all’epoca degli Etruschi, fosse chiamata con il nome di Enotria. Marco Porzio Catone due secoli più tardi collocò la vigna al primo posto nel novero delle culture italiche. Fu soprattutto la Campania a ospitare all’inizio le prime piantagioni specializzate, con le zone ai piedi del monte Massico e del monte Petrino che venivano scelte come aree privilegiate: il Vinum Falernum proveniva da qui. Si trattava di una regione con terrazzamenti drenanti, grazie a cui era possibile mantenere il livello di calore e di umidità più appropriato.

I vigneti ai tempi dell’antica Roma

Per conoscere la conformazione e la configurazione dei vigneti ai tempi dell’antica Roma è necessario fare riferimento a Columella, che nel De Rustica parla di una distanza di 10 pedes, pari più o meno a 3 metri, tra i filari. I vigneti erano supportati da pali in legno o maritati ad alberi, e un ettaro di vigneto consentiva di ottenere oltre 150 quintali di uva: le rese moderne non sono poi tanto diverse. Duemila anni fa, dunque, un ettaro di terreno coltivato a vite permetteva di produrre 2 o 300 ettolitri di vino.

Come si vinificava

Sempre grazie al De rustica di Columella si può sapere quale tecnica di vinificazione veniva adottata dai Romani. La vendemmia iniziava quando i grappoli erano ormai ben maturi e veniva eseguita con coltelli a forma di falce. Dopodiché i grappoli venivano messi all’interno di ceste che venivano portate in cantina. Nel caso in cui rimanessero dei grappoli immaturi, o comunque ce ne fossero di alterati, questi non venivano gettati ma si impiegavano per realizzare il vino destinato agli schiavi.

La produzione di vino tra i Romani

dolia erano i contenitori all’interno dei quali veniva fatto fermentare il mosto: essi venivano tappati e poi messi sotto terra fino a tre quarti della loro altezza, pari più o meno a due metri. Nel caso in cui il vino che ne derivava risultasse troppo torbido, si usavano dei bianchi d’uovo per renderlo più chiaro, o in alternativa si ricorreva a del latte fresco di capra. Il grado alcolico era molto variabile per il semplice motivo che la fermentazione non era controllata, ma i vini più alcolici venivano comunque mescolati con quelli meno forti; un’altra soluzione adottata consisteva nell’integrare il mosto con degli aromi o con il miele.

Dalla Roma antica a quella moderna

A distanza di più di due millenni, la passione per il vino nella Città Eterna non si è ancora esaurita, anzi: spesso per frequentare un corso degustazione vino Roma è necessario prenotare in anticipo per essere certi di trovare posto. In un corso di questo tipo si fa riferimento alla viticoltura e si forniscono le nozioni di base relative alla legislazione in materia, soprattutto per quel che riguarda i disciplinari di DOC e DOCG. Quindi si passa alle tecniche di degustazione vere e proprie, dall’esame visivo a quello olfattivo.

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